venerdì 31 ottobre 2014

SHAKUBUKU

LO SHAKUBUKU: CONSENTIRE A TUTTE LE PERSONE DI RIVELARE IL LORO VERO POTENZIALE

Lo scopo ultimo del Buddismo è la felicità delle persone. La vita più profonda di ciascuno di noi è ricca di potenzialità inespresse e di immense riserve spirituali di saggezza, coraggio, energia e creatività. La splendida unicità e la meraviglia dell'essere umano è che ciascuno realizza e manifesta tali potenzialità in una miriade di modi diversi, a seconda del proprio carattere, della propria cultura, personalità e passione. L'intento del Buddismo è di rendere le persone consapevoli dell'illimitato potenziale della propria vita e di esprimerlo. Il Buddismo contrasta il senso di impotenza che sperimentiamo di fronte alla sofferenza e alle difficoltà, consentendoci di attingere alle nostre risorse interiori per trasformare qualunque fonte di sofferenza e ottenere convinzione e realizzazione.
Nell'ambito della vasta tradizione buddista, è il Sutra del Loto che definisce nel modo più chiaro questo potenziale profondo, spiegando che è presente nella vita di ogni individuo e sottolineando che insegnare a tutte le persone a connettersi con questo potenziale, qui e ora, è lo scopo degli insegnamenti Buddisti. Il Sutra del Loto è degno di nota anche per il suo “insegnamento dell'unico veicolo”, che comprende tutto ed esprime la verità fondamentale del Buddismo e cioè che chiunque può ottenere la Buddità e ha il diritto di essere felice.
I testi buddisti descrivono due metodi principali di esporre tale verità. Il primo, in giapponese shoju, consiste nel condividere questa visione della vita senza mettere in discussione direttamente le convinzioni altrui. Il secondo metodo, detto shakubuku, consiste in un'affermazione più risoluta della verità e nel contestare le visioni che non rispettano la vita.
Shakubuku è una pratica per gli altri, un esercizio attivo di compassione e convinzione circa la loro natura di Budda. È un atto di supremo rispetto per gli altri, che richiede coraggio per parlare a fondo degli insegnamenti buddisti. Praticare solamente per se stessi può sembrare una scelta più semplice, ma non è la vera via per l'Illuminazione.
Nel XIII secolo, circa 1.500 anni dopo la scomparsa del suo fondatore Shakyamuni, il Buddismo era ben consolidato in Giappone, ma si era frammentato in numerose scuole rivali, ciascuna delle quali affermava di rappresentare il vero insegnamento di Shakyamuni. Alcune erano state addirittura cooptate all'interno delle strutture di potere corrotte e oppressive dell'epoca.
Questo era il contesto storico in cui visse Nichiren (1222-82), il fondatore del Buddismo praticato dai membri della SGI. Dopo aver studiato a lungo i vari insegnamenti buddisti, cominciò a confutare energicamente le dottrine che considerava deviate rispetto agli insegnamenti di affermazione della vita contenuti nel Sutra del Loto. E continuò a farlo nonostante le tremende persecuzioni subite da parte delle autorità, convinto che le filosofie erronee che incoraggiavano la passività e il senso di impotenza fossero la causa principale delle sofferenze e dei contrasti sociali.
Le descrizioni degli sforzi notoriamente appassionati di Nichiren hanno talvolta fatto passare in secondo piano il fatto che lo shakubuku consiste primariamente e soprattutto in un dialogo aperto. Nichiren si è sempre impegnato nel dialogo sostenendo che «Finché persone di saggezza non dimostreranno la falsità dei miei insegnamenti, io non mi arrenderò». I suoi oppositori, rifiutando il rischio del dibattito, preferirono complottare per la sua persecuzione.
Il Sutra del Loto stesso fornisce un modello per lo shakubuku nella figura del Bodhisattva Mai Sprezzante, che si inchinava profondamente al cospetto delle persone che incontrava, onorandole sentitamente in quanto possedevano la natura di Budda. Tuttavia, le sue azioni inizialmente suscitarono scherno e aggressività. Ciò che il Bodhisattva Mai Sprezzante confutava negli altri, rivolgendosi direttamente alla loro intrinseca natura di Budda, era la visione ristretta che avevano di se stessi.
Mettere limiti alle nostre capacità e aspettative è una tendenza naturale. In un certo senso, queste barriere sono lo strumento attraverso il quale ci definiamo. Rischiamo facilmente di rimanere intrappolati in una visione ristretta di noi stessi e del mondo e possiamo provare fastidio e addirittura paura quando questa percezione limitata di noi stessi viene messa in discussione. Il Buddismo mette costantemente in discussione ciò che pensiamo di essere.
Lo spirito di shakubuku però non è mai animato da un’ansia sterile e polemica di dimostrare la superiorità della propria opinione rispetto a quella altrui, bensì scaturisce dall’intenso desiderio compassionevole di permettere agli altri di credere nell'enorme potenziale ancora inespresso della propria vita. 

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